Bisogno di futuro
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“Ormai non era più questione di dissenso politico, di scontro di opinioni. In quelle parole del gruppo, in quella oscena ed ostentata manifestazione di disprezzo c’era un sentimento nuovo che né Franco né Riccardo avevano prima incontrato nella loro esperienza. C’era l’odio”. Estratto da un racconto di Dario Missaglia contenuto nel libro “Educo ergo sum”, edito da Ediesse.
L’assemblea sindacale era in corso da una ventina di minuti. La sala era piena e Franco, il sindacalista della CGIL scuola, aveva da poco concluso il suo intervento e passò la parola a Riccardo, suo collega della Cisl.
Un gruppo di docenti di scuola media iniziò a spostarsi verso gli oratori; “basta, finiscila” cominciò a urlare uno dei docenti che si era fatto avanti.
Riccardo, che aveva una consumata esperienza, non si lasciò intimidire. “Io continuo, hai capito? Non siete i padroni dell’assemblea” controbattè mentre quel gruppetto si scherniva di lui; ridevano, seduti per terra, si scambiavano battute mentre intorno c’era il gelo ma non una reazione. “Finiscila, tornatene a casa” continuarono ad inveire contro Riccardo. “Non sono stato zitto durante il fascismo e non starò certo zitto di fronte a voi che non siete nulla” replicò con tutta la sua forza Riccardo. “Bravo, ha fatto anche la Resistenza, poverino” insultò uno del gruppo, “Tu e il tuo sindacato la Resistenza l’avete tradita, hai capito?” urlò un altro con tutta la sua aggressività.
Ormai non era più questione di dissenso politico, di scontro di opinioni. In quelle parole del gruppo, in quella oscena ed ostentata manifestazione di disprezzo c’era un sentimento nuovo che né Franco né Riccardo avevano prima incontrato nella loro esperienza. C’era l’odio. E Franco restò sorpreso ed indignato nel vedere che il leader riconosciuto di quel gruppetto era Gianni, un docente di lettere di scuola media iscritto alla CGIL che aveva incontrato molte volte nelle infinite riunioni con i precari.
Quella fu l’ultima assemblea che Franco si trovò a vivere insieme a Riccardo. Vent’anni dopo, quando venne a sapere della sua scomparsa, Franco pensò che gli sarebbe piaciuto davvero tornare a parlare con lui e raccontargli dell’incontro con Gianni, il giorno in cui Franco era tornato a Genova per partecipare ad un convegno in memoria di Bruno Trentin.
Negli anni di quella lontana assemblea, Gianni era un docente precario della scuola media. Aveva animato uno dei tanti coordinamenti di precari che rivendicavano l’immissione in ruolo “ope legis” a partire dalla metà degli anni ’70. Chissà se quella battaglia era pensata davvero come “di sinistra” mentre Parlamento e Governo si apprestavano a una lunga stagione di immissione in ruolo di migliaia di insegnanti: senza concorso o nel migliore dei casi, con concorso riservato senza verifiche e selezioni.
Era tempo di una scuola di massa? Bene la massa avrebbe avuto la sua scuola, povera, modesta nei suoi obiettivi, senza pretese di rigore ed impegno, con insegnanti reclutati senza selezione e qualità.
Gianni era l’animatore del gruppo che si riconosceva nell’area “dell’autonomia operaia”; non un gruppo, non un partito, ma una sfuggente ed inquietante area che non nascondeva, in alcuni suoi membri, le sue simpatie per il terrorismo armato.
Genova in quella fine degli anni ’70 visse uno dei periodi più bui della sua storia. E fu proprio allora, dopo l’omicidio di Guido Rossa e la risposta di tutto il movimento operaio genovese che un giorno la Digos telefonò a Franco per sapere dove fosse Gianni.
“A scuola, credo, dove insegna” rispose Franco; ma l’agente precisò che Gianni era scomparso da due mesi senza alcuna richiesta di congedo. Latitante.
Non lo avrebbe più rivisto ed ecco ora era davanti a lui. “Sei stato nella lotta armata?” chiese Franco a bruciapelo quasi per togliersi un peso dallo stomaco; “roba passata”, rispose Gianni senza tradire emozioni. “E no”, disse Franco “roba passata va bene per i Governi, le vicende della politica, i fatti personali ma non si può dire roba passata quando parliamo di morti e dolori indicibili”. “E va bene”, disse Gianni “vuoi che ti dica che ho sbagliato? Sì, è vero, ho sbagliato. Il terrorismo non tornerà più e questi quattro scalzacani che si fanno ancora chiamare Brigate rosse, non contano un cazzo”.
“Ma che vuol dire”, reagì Franco. “Mi spieghi che senso hanno avuto in quegli anni quelle morti, la paura, il terrore?”, “Bisognava alzare il livello dello scontro e noi lo abbiamo fatto” rispose Gianni con enfasi. “E per fare che cosa?”, incalzò Franco sempre più deciso. “Non lo so”, disse Gianni “sapevamo solo che dovevano alzare il livello dello scontro… poi qualcosa sarebbe accaduto”. “Qualcosa sarebbe accaduto?” gridò quasi Franco con sconcerto.
Eppure Gianni diceva la verità, una terribile verità. Dietro quegli anni, quei morti, non c’era nessun progetto, ma questo rendeva ancora più drammatica questa verità.
Estratto da un racconto contenuto nel libro “Educo ergo sum”, di Dario Missaglia, 2010, Ediesse.
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Nella foto: Guido Rossa con la figlia Sabina, fotogramma dal film di Giuseppe Ferrara (2005) che ricostruisce le vicende dell’operaio sindacalista ucciso dalla Brigate Rosse nel 1979.
Dario Missaglia